Una mappa per due. Incontro con Giorgio Monetti.

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Per noi amanti delle due ruote, le emozioni che si possono vivere in un viaggio in moto sono uno dei motivi per cui le amiamo così tanto. Poche altre cose possono offrire possibilità così varie e connessioni così uniche come la moto. Il senso di libertà e avventura, il gusto della sfida personale, ma anche la possibilità di connettersi con l'ambiente circostante e soprattutto con se stessi.

Queste sono alcune delle emozioni e delle esperienze uniche che si possono vivere durante un viaggio in moto, ed è per questo che tante persone amano le due ruote. Oggi per molti motociclisti il viaggio richiede preparazione, ricerca, abbigliamento adeguato e supporto tecnologico, ma un tempo non era così, e capita a volte di dover riparametrare il concetto stesso di viaggio in moto.

Questo accade se ti trovi ad ascoltare i racconti e i pensieri di una delle prime persone al mondo che ha girato il mondo in moto, realizzando un'impresa che è entrata nella storia.

L'occasione è quella della proiezione del film documentario "Una mappa per due" presso il cinema nuovo di Varese, organizzata da Gianmario Volpi con il supporto di Varese Terra di Moto, in cui vengono ripercorsi gli oltre 100.000 chilometri percorsi a bordo di due Ducati 175 attraversando 35 nazioni da parte di Leopoldo Tartarini e Giorgio Monetti a fine anni Cinquanta. 

 

 Non solo però proiezione del docufilm ma l'organizzatore è riuscito a coinvolgere e portare a Varese il regista del film e soprattutto uno dei protagonisti di quell'impresa: Giorgio Monetti.

Tartarini e Monetti sono stati infatti due dei pionieri del viaggio in moto, che hanno fatto sognare tanti motociclisti viaggiatori e dato loro la spinta per vivere grandi avventure molto prima di Ted Simon col suo libro "I viaggi di Jupiter".

La serata non è solo la proiezione di un film o ascoltare i ricordi di un tempo passato, ma un invito alla riflessione sul significato del viaggio e sull'evoluzione dello stesso.

Si percepisce, e non potrebbe essere altrimenti, il senso di libertà e di avventura legato alla moto. Fin dai primi fotogrammi si percepisce un tempo passato e come avrebbe potuto essere il viaggiare per lunghi tratti su strade sconosciute e affrontare sfide e ostacoli che a volte sembrava quasi impossibile da superare. Già dopo pochi minuti si comprende in quali condizioni viaggiavano i due protagonisti, dai mezzi di cui disponevano alle condizioni climatiche a cui andavano in contro, passando per scenari geopolitici anche molto complessi.

 

Indossavano un abbigliamento che oggi non si userebbe per una gita fuori porta, usavano cartine geografiche con scala "un pollice sta a 2.000 chilometri", non avevano alcun supporto telefonico o comunicativo e dovevano attraversare nazioni nel pieno di sommosse e disordini. Ma soprattutto, come ha raccontato poi a fine proiezione Giorgio hanno visto e attraversato gli ultimi pezzi del medioevo di parte dell'umanità.

Hanno compiuto un viaggio di scoperta ed esplorazione, legato alla possibilità di conoscere nuove culture, ambienti e paesaggi.

Il docufilm scorre veloce, il montaggio è fatto bene e emergono tanti aspetti che sarebbe bello approfondire e Giorgio è lì proprio per quello. Sul palco viene portata la moto con cui ha percorso oltre 110.000 chilometri, e seduto su una poltrona, Giorgio risponde alle domande e alle curiosità del pubblico

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Lo spettatore è rapito dal racconto di Giorgio e dalla sua straordinaria forza interiore.

Ascoltare parlare Giorgio, classe 1932, a fine proiezione si percepisce un'epoca passata, e una profonda nostalgia per quello che era, un tempo in cui il mondo sembrava ancora offrire misteri e possibilità infinite. In certi momenti, sembrava di ascolta le gesta di antichi esploratori, che si avventuravano in territori sconosciuti alla ricerca di nuove scoperte.

 È un viaggio che ha unito due persone molto diverse tra loro, con motivazioni differenti a motore delle loro gesta, eppure legate da una passione comune per le moto e per l'avventura.

Da un lato c'era Leopoldo, che cercava di dimostrare qualcosa alla casa motociclistica con cui correva, sperando di ottenere riscatto e un successo con quell'impresa. Dall'altro c'era Giorgio, alla ricerca solo del viaggio fine a se stesso: del mistero e dell'incognita di cosa avrebbe riservato il prossimo chilometro, la prossima frontiera, la prossima nazione. Due anime diverse che, sebbene la lunga convivenza fece nascere attriti, trovarono un modo per collaborare e realizzare una grande impresa che ancora oggi viene raccontata.

Le loro diversità si sono rivelate essenziali per il successo del primo viaggio intorno al mondo in moto, lasciando un segno indelebile nella storia dei viaggi avventurosi. Un'impresa che richiedeva coraggio, determinazione, resistenza fisica e mentale, e forse anche quell'incoscienza che è fattore comune nelle grandi imprese.

Ma al di là di tutto questo, è il viaggio come scoperta vera e pura a rappresentare il vero fulcro del racconto di Giorgio. Viaggiare senza sapere dove si sta andando e cosa si va a conoscere, immergersi completamente nel viaggio e lasciarsi sorprendere dalle scoperte e dalle esperienze che si incontrano lungo il percorso, scoprire luoghi, persone e culture inaspettate, che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti.

Essere pronti ad accogliere sorprese e opportunità che si presentano ma anche i rischi e problemi che si potrebbero incontrare. Vivere il momento presente in modo intenso e autentico, senza la pressione di dover rispettare un programma preciso o di dover raggiungere determinati obiettivi, e senza la connessione a una realtà che non è quella che si sta attraversando. Solo in questo modo diventa possibile vivere appieno l'esperienza.

Il suggerimento del distacco tecnologico, come metodo per vivere l'esperienza del viaggio in modo nuovo e autentico, si fa strada nel racconto di Giorgio e trova ancora oggi un'eco significativa. È facile immaginare come l'onnipresenza dei dispositivi tecnologici stia gradualmente erodendo l'esperienza del viaggio, trasformandola in una semplice routine o una serie di attività programmate. In questo senso, la scelta di abbandonare la propria zona di comfort, sia essa rappresentata dal cellulare o da altre comodità, costituisce un passo importante verso la riscoperta della vera essenza del viaggio. 

L'invito a lasciare a casa il cellulare non deve essere frainteso come un richiamo al primitivismo o alla rinuncia alla modernità, ma piuttosto come una sfida a mettersi alla prova, a esplorare nuovi modi di interagire con il mondo e con se stessi. Solo attraverso l'immergersi completamente nel viaggio, non condividendo o postando foto, forse si diventa capaci di entrare in contatto con la propria essenza e di sperimentare nuove sfumature del proprio io.

L'esperienza del viaggio non deve essere confusa con la ricerca di qualcosa filtrato da altri, ma piuttosto come una scoperta vera e pura, una ricerca di ciò che è autentico e profondo. Questo ci racconta l'uomo di 91 anni appoggiato alla sua moto.

Solo attraverso la pratica della sospensione dell'io e dell'abbandono alla bellezza del mondo circostante, si può sperare di cogliere l'essenza del viaggio come strumento di scoperta e di arricchimento personale. Forse in questo senso potremmo avvicinarci al concetto di viaggio di Giorgio e Leopoldo, che uniti dalla passione per le moto e l'avventura, hanno compiuto un'impresa epica che ha lasciato un segno indelebile nella storia dei viaggi in moto.