Quello che mi appresto a vivere in questo pomeriggio di inverno è l’incontro con la storia del motociclismo, il pilota più vincente di sempre e difficilmente, complice com’è articolato il motociclismo ai giorni nostri, qualcuno potrà superare le sue vittorie: nessuno come lui, mai più. Ho avuto la fortuna di strappare un incontro con il più grande pilota di sempre: Giacomo Agostini.
Ho sempre considerato Ago inavvicinabile, irraggiungibile, complici la bacheca di successi ma anche i sentito dire. Tuttavia posso dire, a dispetto di quelli che dicono “Ago è uno che se la tira”, che una gentilezza, cortesia e disponibilità così è rara per un campione del suo livello. Agostini ha segnato un’epoca, lui è stato il campionissimo, all’epoca c’erano gli altri piloti e poi c’era lui. Ago e gli altri, quelli che ambivano, anche solo per un giorno, per una gara, a prendere il posto sul gradino più alto del podio, quel gradino che era il suo e lo ha visto ospite per ben 123 volte. Numeri spaventosi quelli di Ago: 15 titoli mondiali come pilota, 6 come team manager, 10 vittorie al TT e 162 podi.
Sono anche questi numeri che oltre ad emozionarmi creano uno stato d’animo particolare al suo cospetto, sono intimidito e quasi in soggezione di fronte a quest’uomo che dopo aver oltrepassato i 70 anni è tonico, brillante e al tempo stesso preso ed indaffarato nelle sue nuove attività cui si dedica con la stessa meticolosità di un tempo.
Vengo accolto nel suo studio dove ci sono diverse fotografie che lo ritraggono in azione in pista e come team manager ed una gigantografia di un’impennata a bordo della moto con cui ha creato quel binomio indissolubile, che è diventato orgoglio nazionale, la splendida MV. Mi accorgo che ha appoggiato, su una scrivania, una copia del recente libro uscito nel mese di Settembre – già in fase di ristampa perchè esaurito – in cui viene ripercorsa la sua vita attraverso fotografie dalla bellezza incredibile con il supporto della scrittura di Mario Donnini, maestro indiscusso nel narrare le gesta degli eroi delle due ruote. Prendo spunto da questo per rompere il ghiaccio e chiedo come è nata l’idea di realizzare quello che poi è diventato un documento cartaceo che testimonia un’epoca “a livello di editoria non volevo far più nulla, ma due inverni fa mentre rivedevo i ritagli di giornale e le mie fotografie, ne ho viste alcune di cui avevo dimenticato l’esistenza e le ho trovate molto belle, ho cosi pensato che sarebbe stato bello farle vedere. L’idea fu accantonata fin quando a Roma alla FMI conobbi Giorgio Nada, durante una presentazione dei suoi libri, e gli dissi di questa mia idea che però avevo accantonato per questioni di tempo. Bastò poco per convincermi a farlo.“
Il risultato sono circa 280 foto che ripercorrono la vita di Agostini, da bambino fino ai giorni nostri, alcune immagini sono di forte impatto, ad esempio quella di Ago sulla Morini che sfiora un guardrail “non è un vanto, allora si correva così e dovevi farlo. Sfioravi il pubblico a bordo pista, magari qualcuno stava fumando e gli portavi via la sigaretta. Oggi il pubblico non può pensare di vivere quelle emozioni, allora la gente viveva la gara con noi.” Si possono solo pensare quali emozioni si potevano provare vedendo sfiorare a pochi centimetri i propri idoli mentre oggi sei a centinaia di metri e devi far ricorso ai megaschermi. Emozioni grandi e la più grande vissuta, dice Ago, è stata la conquista del primo Campionato Mondiale.
Noi raccontiamo emozioni e passo a chiedergli quali sono state le più intense nella sua straordinaria carriera”ho avuto la fortuna di viverne di grandi. Quelle che ti restano dentro e ti rimangono impresse sono però le prime volte. Quando ho iniziato a correre con due amici a far da meccanici: siamo partiti per questa gara, la Trento-Boldone, dove arrivai secondo assoluto. Fu un emozione indimenticabile, secondo con una moto comprata in officina. L’altra grande emozione fu il passaggio alla moto ufficiale, quando mi fu data dal commendatore Morini“.
Oltre alle emozioni legate alla prestazione agonistica e sportiva ci sono quelle che arrivano dalle persone “una grande fu al Nurburgring, dove c’erano tantissimi italiani e dopo la mia vittoria invasero la pista e la polizia tedesca – che ricordiamoci era quella della Germania degli anni ’60 – capì la situazione e permise al pubblico di avvicinarsi al podio. Nei momenti successivi ebbi modo di scambiare diverse battute con queste persone e sentire questi immigrati che mi ringraziavano per aver dato loro quella grandissima gioia, il poter entrare il giorno dopo in fabbrica a testa alta vantandosi di aver vinto la gara, mi inorgoglì. Le stesse parole mi furono dette dai minatori del Belgio, che mi raccontavano di essere trattati come schiavi ma nei giorni seguenti alla mia vittoria erano felici di andare a lavorare perchè potevano dire agli altri che aveva vinto l’italia.”
Altri tempi, difficili da comprendere per chi non li ha vissuti ma solo letti o visti dai video del tempo, quelle immagini che ritraevano sempre Ago come il bello dell’ambiente con modi di fare e porsi lontani anni luce dai suoi colleghi “allora non c’erano i Motorhome in cui oggi sembra di essere in una villa. Allora c’era la roulotte e quando pioveva io non riuscivo a dormire. Fortunatamente divenni subito pilota ufficiale ed avevo la possibilità di poter dormire in albergo. Sceglievo sempre l’albergo, magari anche di media categoria ma a me non piaceva stare in circuito. Non per questioni di snobbismo o altro ma avevo necessità di staccare. Stare sempre lì mi sembrava di rimanere 24 ore in ufficio. Io preferivo, finito il mio lavoro, staccare la spina, allontanarmi da quella pressione continua che c’era intorno a me. Andando fuori, vedendo altra gente fuori dall’ambiente motoristico, era diverso.”
Ecco la chiave di lettura che non avevo mai dato e che non ho mai trovato scritto. La pressione del vincitore. L’obbligo di vincere, di non poter mai sbagliare che porta ad una scelta di vivere le moto diversa dai colleghi. La scelta di vivere la propria passione con una professionalità e un metodo che fino ad allora non si era mai vista e che lo portò a vincere mondiali a ripetizione con la mitica MV prima e con la Yamaha poi.
Già la MV non può mancare la domanda di come furono i rapporti con l’altro grande attore – il Conte Agusta – che ha permesso la nascita del mitico binomio “Io avrei voluto andare alla Gilera ma mio padre mi spinse ad andare in MV, scegliere chi aveva le spalle coperte e la MV faceva gli elicotteri. Con il Conte l’approccio fu difficile, mi mise in difficoltà e mi sentii quasi come preso in giro. Col tempo capì che invece era un gioco, un modo per conoscermi e col tempo poi nacque un buon rapporto. Non fu un rapporto di amicizia perchè comunque io ero un ragazzino e lui era il Conte Agusta ed aveva già una certa età, ma fu un rapporto di professionalità e di rispetto, sempre nei binari di lui padrone ed io dipendente.”
Nel corso degli anni questo rapporto scriverà pagine indimenticabili di motociclismo, ricordiamo le 10 vittorie al TT, il circuito che Ago non nasconde di amare più di tutti gli altri, che però con le sue prese di posizione, ha contribuito ad escludere dalle gare valide per il campionato mondiale. Da dove nasce questo amore? “in generale i circuiti cittadini avevano un fascino particolare, però dovevi correre dimenticando il pericolo. Era una tecnica diversa rispetto all’autodromo, era un brivido continuo: tagliare una curva, sfiorare una casa o un muro, un impegno continuo. Una scarica continua di adrenalina. Non potevi sbagliare nulla perchè lì anche una caduta banale poteva significare la morte.” In quegli anni ci furono morti spaventose e tanti piloti ed amici persero la vita da Ivy a Parlotti passando per Bergamonti e chiedo quel’è stato il momento più brutto di quegli anni “Sicuramente la tragedia di Monza, Pasolini e Saarinen. Avevo appena finito di lottare con Pasolini nella 350 e fu uno shock incredibile“.
Pasolini, il pilota che forse più di altri oltre a Hailwood fu accostato ad Agostini e gli chiedo un ricordo di quella dualità, della famosa Italia spezzata in due “io andavo a correre in Emilia Romagna dove Pasolini era il re. Io Lombardo avevo i miei tifosi e lui aveva i suoi. Un dualismo che penso abbia fatto bene al motociclismo. Alle gare nazionali c’erano più di 50 mila persone per vederci. Una cosa da brividi.” Grandi duelli e grandi emozioni ma come erano i rapporti tra i due “i rapporti tra colleghi non possono mai essere a livello di amicizia. C’è rispetto e con alcuni possiamo sembrare amici ma siamo amici tra virgolette. Quando lotti per una gara non puoi essere tenero o altro, c’è il rispetto della regola ma fai di tutto per primeggiare, a volte alcuni anche con dispetti e giochini. Non puoi mai essere grande amico.“
Di colleghi Ago ne ha bastonati tanti ma l’episodio che personalmente mi ha fatto maggiormente emozionare nella sua incredibile carriera fu dopo la parentesi MV, nel passaggio alla Yamaha 2 tempi. All’esordio con questa moto riuscì in un’incredibile impresa: la vittoria della 200 miglia di Daytona. Il giovane Kenny Roberts vedendolo arrivare gli disse che il campione del mondo era lui, in qualità di detentore del titolo AMA perchè il mondo erano gli USA e l’Europa non contava nulla “prima gara con la Yamaha, prima gara con la due tempi, prima gara in America e prima gara in un circuito ovale. Sono andato ed ho battuto tutti i grandi campioni americani. Quando tornai in Italia già dalla scaletta dell’ aereoporto trovai i giornali che titolavano “Agostini è andato a scoprire l’america ed è tornato vincitore”. L’emozione fu grande anche perchè avevo appena lasciato la MV ed alcuni mi accusarono di essere un traditore. Volevo dimostrare loro che se avevo fatto quella scelta era perché vedevo di là un futuro e il 2 tempi poteva fare molto di più“.
Forse basta questo episodio a riassumere chi è stato il pilota Giacomo Agostini un professionista unico con doti fuori dal comune non solo “nel polso”, gli chiedo perché, sebbene nel motociclismo ci siano stati tanti grandi talenti, lui e pochi altri sono stati ai vertici per così tanto tempo “ognuno nasce con delle doti. Non basta avere il dono, assolutamente no, questo dono devi coltivarlo, preparalo. Ho sempre pensato di aver avuto questa fortuna ma poi bisogna fare il resto che consiste nell’aver una vita seria, essere preciso ed attento, collaborare coi tecnici per dare a loro le informazioni giuste e tutte quelle cose che permettono a questo dono di vivere, svilupparsi e salvaguardarsi“.
Un modo di essere che oltre ad averlo portato ad essere il più grande di sempre ha permesso allo sport a due ruote di fare passi da gigante. Perchè Ago ha dato tanto al motociclismo, in primo luogo per la sicurezza con le sue battaglie e prese di posizione “prima di tutto bisogna dire che le vittorie aiutano. Aiutano a far conoscere lo sport, a farlo conoscere al pubblico ma anche agli sponsor. Però poi ad un certo punto ho iniziato a pensare “perchè ?”. Avevo perso tanti amici, l’ultimo fu Parlotti al TT e mi sono detto “perchè dobbiamo restar sempre zitti ed intanto perdiamo amici?”. Perchè non spingere gli organizzatori a far qualcosa per la sicurezza. Quando abbiamo iniziato a correre quello era il piatto con la minestra e quello dovevi mangiare. Dopo la morte di Parlotti qualcosa è cambiato, da campione del mondo avevo anche la forza e la voce in capitolo ed ho detto “basta, dobbiamo fare qualcosa anche per noi”. Ho cercato di coinvolgere altri piloti ma inizialmente non volevano, perchè contestando e non correndo non potevano prendere il premio partenza che allora era l’unica fonte di entrata per la maggior parte dei piloti. Iniziai con un programma che prevedeva l’abolizione dei circuiti pericolosi a partire dal Tourist Trophy dove io amavo correre, perchè dava gioie ed emozioni incredibili come nessun altro circuito, ma in cui non potevi cadere perchè se cadevi morivi. Grazie ad altri che mi hanno sostenuto siamo arrivati a correre in circuiti dove cadi e ti rialzi. Ho fatto cose che non erano nel mio DNA e solo per ridurre il pericolo, la parola sciopero non mi piace, mi da molto fastidio, ma ho dovuto fare questo per far capire che dovevano aiutarci in qualcosa”.
Parlando di quello che ha dato al motociclismo non posso dimenticare l’emozione che fece inumidire gli occhi di tanti italiani, un podio in Ungheria in cui sul gradino più alto c’erano Claudio Castiglioni, Eddie Lawson e Giacomo Agostini, la prima vittoria della Cagiva “Fu un grandissima emozione, perchè era una cosa che gestivo io e quella vittoria nacque grazie anche ad un mio consiglio“. Non posso non chiedere un ricordo di Claudio “bellissimi ricordi. All’inizio fu difficile quando presi in mano la squadra, perchè io volevo carta bianca su tutto, nessuna ingerenza da parte dell’azienda, solo la fornitura di moto e ci volle un pò per far capire questo“.
Tempi in cui l’Italia a due ruote era vincente, gli anni della Cagiva a cui poi sarebbe seguita l’epopea Rossi, Capirossi, Biaggi fino al vuoto di oggi. A chi ha una postazione privilegiata di osservazione con capacità di analisi indiscutibili chiedo quali sono le cause di questo vuoto generazionale “ la crisi è nata perchè l’italia diversi anni fa ha a rinunciato a fare le gare minori e i vari campionati italiani. Hanno dimenticato questo, non pensando che questa è la scuola, la culla. Noi siamo stati forti perchè abbiamo sempre avuto circuiti, gente che andava in moto e piccole corse dove anche chi non aveva grandi mezzi poteva accedere, e poi se era bravo veniva preso sotto le ali di qualcuno. Noi abbiamo lasciato questo per tanti anni e la Spagna è stata brava nell’allevare ragazzi. Tanti dei nostri oggi vanno in Spagna. Fortunatamente alcune gare minori sono tornate, alcune promozioni ci sono ancora ad esempio le minimoto e le minigp. Il nostro grande errore è stato aver dimenticato questo“.
La mia idea personale è che abbiamo grandi talenti ma ormai il sistema italia è degenerato e senza valigia non puoi correre “oggi se un team manager ha due piloti ed ha difficoltà a trovare i soldi – e quelli mancano sempre – ed uno di questi può portare maggiori entrate rispetto all’altro, che magari è più forte, tanti scelgono quello con più soldi. Una volta c’erano le case, c’era meno elettronica, costava tutto meno, oggi tutto questo è decisamente cambiato.“
Un ambiente cambiato totalmente dai suoi tempi “oggi è estremamente professionale e si riescono a fare molte cose in più, forse pure troppo. Oggi ogni squadra ha il suo motorhome, il suo cuoco i suoi camerieri. Tutto questo però porta al fatto che non devi curare solo la parte tecnica delle moto ma anche tutto il resto, che poco ha a che fare con l’andare in moto. Io avevo proposto di accentrare alcuni aspetti in determinate strutture, tipo due ristoranti a disposizione di tutti, ma mi sono sentito dire “ma noi poi cosa facciamo?”. Dal mio punto di vista sarebbe stato meglio prendere strutture esterne fatte da professionisti che curano gli aspetti che poco hanno a che fare con quello che devono fare i team, ossia preparare una moto per andare in pista. Oggi siamo arrivati al paradosso che c’è quello una persona pagata per pulire il casco, ci sono alcune figure che non capisco cosa c’entrano con il nostro ambiente“.
Cambiamenti anche in quello che sono i rapporti umani “beh a livello umano è diventato molto più freddo. Noi magari non eravamo amici fraterni ma la sera eravamo insieme a bere nel bar. C’è una foto di Agostini, Read, Ivy, Hailwood seduti insieme su un prato prima della partenza, oggi queste scene non sono neanche pensabili. Oggi scendono dal Motorhome con già indosso il casco per non farsi vedere l’uno dall’altro.“
Piloti che si sentono rockstar e giovani ragazzini che camminano tre metri sopra gli altri solo perchè sono piloti del mondiale. Atteggiamenti che, se paragonati ai sacrifici, anche fisici ed ai rischi che hanno vissuto i piloti della sua epoca non sono tollerabili “loro non sono da colpevolizzare, è la società che è cambiata. Oggi c’è troppo benessere. Oggi la gente è abituata ad arrivare in circuito e avere alle spalle 3 persone che lavorano per lui. E’ cambiato tutto, il ragazzino ai miei tempi quando tornava da scuola e diceva che aveva preso una sberla dal maestro ne prendeva altre due, una dalla madre ed una dal padre. Oggi i genitori vanno a denunciarlo. Il motociclismo riflette la società in cui viviamo.”
Una società in cui alcuni valori sono andati smarriti ma uno sport che comunque continua a fare a battere il cuore a milioni di persone, uno sport che deve tanto a questo uomo e sono curioso di sapere, dal suo punto di vista qual’è il contributo maggiore e l’insegnamento che ha dato a questo sport Giacomo Agostini “prima di tutto vorrei che si ricordasse quello che ho fatto con le due ruote. Io ho fatto questo mestiere perchè ero innamorato pazzamente delle moto. L’ho fatto con grande professionalità e rispetto, senza mai pensare che non ero come gli altri. Io ho sempre pensato di essere uguale agli altri, ho avuto un dono di natura che mi faceva andare forte in moto ed ho cercato di sfruttarlo al massimo. Dalle moto ho avuto tanto ma ho dato anche. Ho sempre tenuto in considerazione la gente che veniva a vedermi, la gente che piangeva per me e devo essere riconoscente anche di questo. Vorrei che mi ricordassero come una persona seria, che ha fatto il suo lavoro con grande passione e amore.“
Penso a quanto ha fatto e mi chiedo se ha avuto il giusto riconoscimento da parte delle istituzioni e più in generale dall’ambiente, “non ho mai cercato o preteso riconoscimenti. Ho fatto un mestiere come se fanno altri senza andar alla ricerca di riconoscimenti. I riconoscimenti più belli arrivano magari dalle persone comuni, quelle che si ricordano dei sacrifici fatti a quei tempi. Allora non c’erano ombrelline, dovevo mettere i piedi nell’acqua calda per resistere alle temperature di alcuni circuiti, erano sacrifici grossi anche fisici. Magari oggi qualcuno si dimentica cosa voleva dire correre in quegli anni“.
I veri amanti di questo sport non si dimenticano di quello che c’è dietro ai 15 titoli mondiali. Un campione vero, un professionista preciso e meticoloso ma anche un grande uomo che a volte è stato dipinto nel modo sbagliato “qualche volta hanno dovuto ricamare o addirittura inventare episodi. Alcuni giornalisti che scrivevano cose non vere e al mio “perchè” mi sentivo rispondere che dovevano farlo per questioni di vendite“.
Ringrazio Ago per il tempo che mi ha dedicato, mi ha fatto fare un tuffo nel passato rivalutando ancor di più gli incredibili piloti di allora ma soprattutto questo campione perchè mi ha permesso di comprendere alcuni gesti e conoscere alcuni episodi che non conoscevo e che – oggi come ieri- non fanno che avvalorare ed essere orgogliosi di un fatto, certo ed incontestabile: il pilota più vincente di sempre è italiano e si chiama Giacomo Agostini .
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