La moto è movimento, gioia, emozione e alcune emozioni ci parlano alcune più forte di altre.
E’ di pochi giorni la notizia della messa in strada di uno dei marchi che maggiormente ha fatto emozionare gli appassionati delle due ruote, perchè dietro quel nome c’è la vera essenza della passione e dell’amore per la moto.
Dopo 55 anni di presenza nel mondo delle competizioni il 2014 sarà l’anno del debutto su strada della Paton, il glorioso marchio milanese che con Roberto Pattoni prosegue ed amplia quella strada tracciata dal padre Giuseppe. Per conoscere meglio questa moto ma soprattutto per sapere cosa c’è dietro quest’idea abbiamo voluto andare direttamente a conoscere e fare qualche domanda all’ideatore di questa moto.
Il ritrovo è fissato per tarda mattinata a Settimo Milanese nella nuova sede della Paton dove, oltre a Roberto ci accolgono Claudio Colombo e Paolo Biraghi. All’ingresso oltre alla bellissima foto della Paton riedizione vittoriosa all’isola di Man, ci sono le foto del Pep con le sue moto dalla caratteristica colorazione verde che risvegliano molti ricordi e ripensandoci non sembra che siano passati già così tanti anni da quando Peppino e Roberto correvano il mondiale GP nella categoria più prestigiosa, la 500 cc.
Vogliamo iniziare la nostra chiacchierata e chiediamo subito a Roberto Pattoni cosa rappresenta questa moto?
L’idea di questa moto è la chiusura di un sogno. Dopo oltre 50 anni di presenza nel mondo del motociclismo il sogno di portare il marchio sulla strada si è concretizzato. Era una cosa che era lì.
Come mai la scelta di un bicilindrico?
Con questa moto siamo riusciti ad abbinare due cose: portare il marchio sulla strada e ricordare la moto più rappresentativa del mondo Paton che è la bicilindrica. Quella Paton che ha ottenuto più risultati e maggior successi. Questa moto ricorda questo.
Perchè l’utilizzo del motore Kawasaki?
E’ una scelta mirata, non fatta a caso. Dopo diverse ricerche e studi abbiamo optato per quello perché di fatto è il modello moderno del bicilindrico. Se paragonata al nostro bicilindrico da corsa ha la stessa fasatura di scoppio,il numero di valvole, il cambio estraibile, sembra quel motore evoluto. Questa scelta consente di fare una moto omologata senza eccessivi investimenti dal punto di vista motoristico.
E’ il resto ?
E’ tutto costruito da noi. Obiettivo è portare un pezzo di storia su strada.
E voi siete partiti proprio dalla vostra storia, l’investimento è stato importante?
Il prototipo che c’era in fiera è stato frutto di un anno di lavoro. Abbiamo preso il telaio di una riedizione, preso il motore della Kawasaki e lo abbiamo adattato, “lo abbiamo fatto entrare”. Poi sul versante carrozzeria ci siamo sbizzarriti, semplificando all’estremo poi ci abbiamo messo le luci e la targa. E’ una moto fatta e finita con già migliaia di chilometri alle spalle frutto del lavoro full-time del mio collaboratore Andrea Realini per un intero anno.
Obiettivi?
Obiettivi immediati l’omologazione ed inizio della produzione. Con questa moto cambia quello che è l’approccio e le esigenze nel costruire una moto. Il nostro obiettivo fino ad oggi è stato quello di costruire una moto che andasse il più velocemente possibile su un circuito, ora le esigenze sono altre. Delle belle sfide anche qui, a partire dalle omologazioni ma come tutte le cose: si fanno.
Vi siete dati dei numeri ?
Numeri non ne facciamo anche se ci sono certo. Noi abbiamo pianificato sul nostro nome, sul nostro marchio e sulla nostra capacità di costruire moto. Oggi ci stiamo adoperando per dar le moto ai vari dealer. Obiettivi 2014 è che la Paton S1 la puoi comprare. Questa è la base di partenza.
Quale potrà essere il contributo di Officina Moto Italia, il nuovo marchio che abbiamo visto in Eicma e che ha raggruppato importanti marchi in un unico brand?
E’ una realtà nata poco prima dell’Eicma e ritengo potrà essere importante e strategica. L’ idea è nata da Giorgio Sarti di CRS per avere sinergie e raggiungere determinati obiettivi per tutti i marchi coinvolti. Obiettivi di pubblicizzazione e di immagine e poi quelli inerenti acquisti o contatti con fornitori. Creare un gruppo di acquisto di un certo peso e che possa garantire determinati numeri. Ognuno ha il suo brand e va avanti per la sua strada ma in Officine Italia ci uniamo, come il pool costruttori delle case costruttrici. La forza di questo gruppo è che siamo 4 aziende (CRS, Magni, Paton e Zaeta NDR) con prodotti diversi e dove anche eventuali gelosie o invidie difficilmente possono nascere. I marchi vivono di vita propria nelle proprie sedi.
Torniamo alla S1, sarà una produzione standard o avete in mente qualcosa di particolare tipo limited edition?
La nostra idea è di farne delle piccole serie, magari caratterizzate da nomi, luoghi o altro. Ad esempio una serie in nome di mio padre, un’altra in ricordo di un pilota importante che ci ha corso, una che può ricordare un risultato. Abbiamo in mente anche delle serie limitate con un certo numero specifico di pezzi, per esempio le miglia dell’isola di Man.
Quali saranno gli elementi che le distingueranno?
La base chiaramente sarà comune ma magari con colorazioni o accessiristica diverse. La mia idea è che le moto sono bellissime, sono la nostra passione, però vanno e vengono, sono i marchi e le persone che restano. Con le nostre edizioni vogliamo sì ricordare alcune persone, ma al tempo stesso dire cosa c’è dietro il marchio Paton.
Non una moto vintage ma una vera moto moderna.
Acquistando una Paton non si sta solo acquistando tradizione ma vogliamo che l’acquirente possa rendersi conto che ci si può divertire ed andar forte anche con una moto con due ammortizzatori, una forcella a steli tradizionali e con le ruote a raggi, perché chi l’ha costruita è 55 anni che fa moto e fino ad oggi questo marchio ha fatto gran premi. Deve essere un oggetto non fine a se stesso, c’è legato un colore, un marchio un nome e tanta storia.
Mercati?
Per adesso l’Europa sicuramente, se la dobbiamo proiettare rispetto alla riedizione che abbiamo fatto, particolarmente l’Europa del nord.
E l’Italia?
L’Italia è un paese incredibile, è il paese che crea i Pattoni, Giuseppe non Roberto, i Librenti, Sanvenero, Morbidelli, gente che si faceva le moto da solo con una inventiva senza uguali al mondo e poi crea un’altra marea di gente che è solo capace a criticare, spesso gratuitamente.
La mancanza della nostra memoria storica e qualcuno che educhi alla cultura motociclistica preclude uno sviluppo commerciale in questo senso?
Oggi poi con la rete, i blog la gente parla senza cultura, senza sapere cosa vuol dire fare una motocicletta. Questo è il nostro paese, dove ci sono persone come noi della Paton, l’unica azienda al mondo che ha costruito moto da corsa artigianali e le ricostruisce ed altre che con due parole possono distruggere tutto questo.Tutto il resto del mondo magari è più modesto, meno presuntuoso sotto alcuni aspetti, però apprezza questo lavoro. I nostri mercati sono quelli dove c’è gente che si ferma guarda la moto e non dico non debba far critiche, perché quelle sono costruttive e servono, ma quando le fanno sono fatte con passione, cultura e cognizione.
Effettivamente se la mettiamo in termini di cultura motociclistica e passione il paragone è impari.
In Inghilterra se vai ad assistere ad una gara di moto classiche vedi ragazzi di 20 anni che saltano sulle repliche di moto che non sanno neanche cosa sono ma le guardano con rispetto e si fanno spiegare che modelli e marchi sono, imparano la storia.
Guadando indietro gli appassionati sanno dell’avventura della Paton nel mondiale, e di quel vergognoso stop da parte di chi parte di chi all’epoca gestiva il motomondiale a cui però avete combattuto e vi siete presentati in alcuni gran premi come wild card. Che ricordi di quegli anni?
Da quanto è venuto a mancare mio padre c’è stato il tentativo per ancora due anni di fare i gran premi. Col senno di poi ritengo siano stati due anni di un tossico che non riusciva ad uscire dal tunnel. Abbiamo sempre fatto quello e non riuscivamo a farcene una ragione. Se dovessi tornare indietro avrei investito quei due anni in un altro modo. Non mi pento ma mi sono accorto che ho fatto uno sforzo spropositato, la guerra contro i mulini a vento. La decisione era stata presa: eliminare i piccoli. Finché si trattava di team che gestivano moto di produzione giapponese per loro è stato facile quando l’hanno dovuto fare con noi è stato più difficile, perché comunque eravamo una casa costruttrice con un passato importante e con un seguito da parte di molti appassionati. Però voglio dire che non sono stati loro a dire basta, ma sono stato io a non voler più chiedere l’elemosina.
Cioè ?
Nel 2000, come avevamo già fatto negli anni precedenti abbiamo inoltrato la richiesta e poi abbiamo preso un bilico, assunto del personale e ci siamo presentanti non più come padre e figlio con un camion che facevano le corse, con comunque risultati comunque dignitosi, ma con una struttura importante. Un grosso sforzo, perché comprare un bilico è un bell’investimento e al tempo stesso li ho messi in difficoltà. Loro non dicevano di no ma affermavano che non potevamo fare il contratto annuale ma solo apparizioni. Ho accettato per due anni delle condizione sbagliate, avrei potuto anche correre tutte le gare ma non mi davano un euro. Oggi queste cose non le rifarei più, le ho fatte nel 2000 e nel 2001 e poi non ho inviato più la richiesta a Irta e Dorna per partecipare e probabilmente loro hanno tirato un sospiro di sollievo ed è finita così. In modo molto triste ma è la realtà dei fatti.
Dopo questo siete riusciti a riconvertire la vostra attività e a trovarvi un nuovo settore in cui posizionarvi, con risultati strabilianti.
Dopo questo abbiamo deciso di fare quello che sapevamo far meglio: costruire moto. Abbiamo iniziato con il bicilindrico riedizione e che ci ha portato a costruire 27 moto che sono in giro per il mondo a gareggiare nelle gare di moto classiche e per quello che riguarda i risultati c’è un palmares che non basterebbe questa stanza a contenere i trofei vinti. Una grandissima soddisfazione ed un piccola rivincita. La Paton è la moto da battere nelle gare di moto classiche.
Molti vi guardano storto perché siete troppo forti, una moto molto più veloce di tutta la concorrenza.
Quello che voglio spiegare è che non è colpa nostra se nel ’68 gli inglesi continuava a produrre il monocilindro mentre mio padre progettò un bialbero 4 valvole. Era avanti lui, io sto solo sfruttando la sua intuizione. Allora i materiali erano quelli che erano e l’affidabilità era difficile da trovare, noi in questi anni abbiamo lavorato per dare affidabilità e le giuste prestazioni. E’ chiaro che la nostra moto va più forte di un monocilindrico anche se hanno fatto passi da giganti anche loro: sono motori fatti su bronzine con alberi motore monolitici.
Tecnicamente come devono essere questi motori e quali regolamenti?
Tu devi fare un motore che si infili in un vecchio telaio con i suoi perni e esteticamente deve essere uguale a quello di un tempo. C’è un lavoro grandioso. Trattandosi di competizione chi gareggia vuole primeggiare e fa di tutto in primis lavorando sul mezzo. L’ultima vittoria al TT Oliver Linsdell l’ha ottenuta con 111 miglia di media (oltre 178 km/h)! Il motore è sempre a manetta e devi aver lavorato per ottenere questi risultati.
Com’è questo ambiente?
E’ un mondo completamene diverso, lontano anni luce da quello che sono i gran premi di oggi. Anche qui ci sono invidie che forse si possono capire dato che quando andiamo in Inghilterra spesso siamo là a dar paga a casa loro ed immagino che gli girino un po’ e allora si inventano mille modi per fermarti. Però poi accetti i loro reclami esempio di usare il 110 posteriore, che non puoi alzare gli scarichi, che la pompa dell’olio deve essere interna anziché esterna, e ti ripresenti e vinci lo stesso. Nel nostro spirito c’è quello di correre.
Tuttavia non vi limitate a fornire la moto pronta secondo l’ottica della produzione in serie.
Non abbiamo progettato il bicilindrico, se lo vuoi è così e saluti, al contrario: in questi anni c’è stato anche tanto sviluppo che è tutto sulle nostre spalle. Infatti il primo motore consegnato con la prima riedizione del 2003 e l’ultimo sono lontani parenti. Siamo passati da 65 cavalli ai quasi 82 di adesso, a fronte di questo fai pistoni, bielle e test e non ti porta mai a dire come mai sebbene abbiamo venduto 27 moto sono ancora qui che combatto. Sono gare e moto da competizione ed è una continua ricerca coi relativi costi per migliorare le performance, l’affidabilità e le prestazioni, in questi anni ci sono stati sempre continui investimenti e ricerche.
Gare di moto classiche, un mondo affascinate ben radicato nel nord Europa ma qui da noi no, perché a tuo avviso?
Noi non andiamo più a correre in Italia perché non ha senso. Qui da noi la federazione fa pagare troppo per far girare un appassionato con la moto classica. Poi c’è un discorso interno di gelosie però tutto parte dal fatto che costa troppo e se mi metto a fare il paragone con altri stati qui la situazione è imbarazzante. In Inghilterra, l’ultima gara che abbiamo fatto, abbiamo speso per l’iscrizione alla gara poco più di 100 sterline e in questo pacchetto abbiamo potuto fare nell’arco di due giorni prove e 6 gare ( 4 gare da 6 giri e 2 da 9 giri). In Italia spendi 350 Euro di iscrizione ad una gara al campionato italiano e fai due turni da 20 minuti ed una gara.
Un problema sollevato da tanti l’accesso alle piste, ormai poter vivere la nostra passione sembra diventato un lusso.
Il limite è grosso e non solo nel mondo delle moto classiche. Io non so cosa oggi spende un appassionato per girare con la sua moto in pista ma in Inghilterra una giornata la paghi 50 sterline e la mezza 30. A lato di questo ci sono strutture che permettono di vivere la propria passione senza doversi dissanguare. All’ultima gara in cui siamo andati c’erano strutture che affittavano moto per 20 minuti a 40 sterline. Se un appassionato vuole fare 20 minuti con un CBR 600RR assettato e pronto pista lo può fare con 40 sterline.
Una soluzione per avvicinare a questo sport anche chi non può permettersi una moto da pista.
Sono anche soluzioni come queste che possono aiutare a rilanciare il nostro sport e farlo uscire dal torpore. Il problema grosso risiede nel fatto che anche il motociclismo è diventato lo specchio di ogni cosa del nostro paese, in cui qualsiasi cosa tu vuoi fare ti spremono come un limone.
Per chiudere, vorremmo chiedere qual è l’emozione più grande che vorrebbe vivere Roberto Pattoni.
Avere la macchina carica di bagagli pronta per andare in ferie e al semaforo vedere una Paton da strada che si affianca e al verde da una sgasata e parte.
Salutiamo gli artisti delle moto Paton con la speranza che tra non molto ci sia un ragazzo che a bordo dell’auto di famiglia buttando l’occhio dal finestrino veda quella moto verde e chieda al padre “Papà ma quella lì verde che moto è?”, e questa domanda possa far iniziare il racconto della bellissima e gloriosa storia della Paton, del suo inventore, delle sue moto e dei suoi piloti. Perchè la tradizione e la cultura sono una parte fondamentale dell’uomo e la Paton ha un posto d’onore nella storia del motociclismo.
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